Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo documento di Emilio Reyneri, membro del GEV14, che offre preziose informazioni sullo stato della sociologia nazionale (anche nelle sue partizioni geografiche) a partire da un'analisi dei risultati della VQR. Riteniamo che queste analisi siano cruciali per una corretta lettura dei risultati (ad oggi noti) dell'ASN, su cui il dibattito resta aperto. Cogliamo l'occasione per dire che il blog è aperto e lieto di pubblicare qualunque contributo di analisi e commento che sia firmato e "civile" ovvero non diffamatorio.
***
Partita male (con un’infelice lettera del
Direttivo AIS, che rischiava di interferire con i lavori delle commissioni ASN,
e con la protesta di alcuni colleghi meridionali, che sembrava rivendicare un bonus ambientale), la riflessione
sull’attuale stato della sociologia italiana sta continuando anche peggio con
il recente intervento di Bianco e altri, che attacca pesantemente le
valutazioni espresse dalla Commissione per l’abilitazione scientifica nei
settori SPS/07, SPS/11 SPS/12. Quest’ultimo intervento ha ricevuto una pacata e
motivata replica sul blog Per la
sociologia (che mi auguro sia ripresa anche dal sito AIS e ROARS).
Il mio intervento intende contribuire alla riflessione
fornendo un’analisi dettagliata e concisa dei risultati della VQR per le scienze
sociali, tenendo conto dell’estrema difficoltà di districarsi tra le moltissime
tabelle allegate al rapporto del GEV 14, di cui ho fatto parte (in posizione
del tutto minoritaria secondo alcuni gossip
pubblicati anche in Per la sociologia).
Come premessa alla mia relazione (scritta e solo
limitatamente diffusa ai primi di settembre 2013), vorrei riprendere due delle
tre critiche avanzate da Bianco e altri. Infatti, quella per cui la commissione
ASN di sociologia generale, politica e diritto avrebbe prediletto un approccio
hard-quantitativo alla sociologia, risulta priva di fondamento solo se si
guarda alle caratteristiche degli abilitati, tra cui sono largamente presenti
gli approcci qualitativi, se non addirittura della sociologia critica. Invece,
le altre due osservazioni (la differenza della percentuale di abilitati tra
sociologia generale e sociologia economica e la scarsa presenza tra gli
abilitati di sociologi che insegnano in università centro-meridionali)
corrispondono al vero, ma non devono esser considerate il frutto di una
perversa distorsione operata da una commissione, perché corrispondono
(purtroppo!) alla realtà dei fatti. Almeno quale risulta degli esiti della VQR,
alla quale hanno contribuito moltissimi sociologi italiani e parecchi
stranieri, tanto da poter escludere, almeno sui grandi numeri, ogni vizio di
parzialità. Insomma, anche se tutto è perfettibile, occorre ammettere che nella
VQR la comunità dei sociologi italiani si è auto-valutata, così come era
accaduto con il CIVR.
Quanto alla differenza tra settori disciplinari
(percentuale di abilitati ordinari 19,6% per sociologia generale, politica e
diritto contro 30,4% per economica e urbana, percentuale di abilitati associati
rispettivamente 16,7% contro 29,0%), avrebbe dovuto essere assolutamente un
risultato atteso considerando le forti differenze nella valutazione della VQR
(vedi grafici 3 e 11). Inoltre si deve tener conto della diversa selezione
delle platee di candidati: nell’ultima tornata di concorsi locali i vincitori
di sociologia generale, politica e diritto sono stati 16 tra gli ordinari e 19
tra gli associati contro rispettivamente appena
4 e 6 per sociologia economica e urbana.
Anche la scarsa presenza tra gli abilitati di
docenti nelle università centro-meridionali non avrebbe dovuto essere una
sorpresa se si fossero considerati gli esiti della VQR e del CIVR, dai quali
risulta che sui grandi numeri la gran maggioranza delle università centro-meridionali
presenta valutazioni inferiori alla media in tutti i settori e a volte con
divari cospicui. Come è stato fatto notare, la sociologia in Italia è rinata
nel dopoguerra tra Milano, Torino e Trento e questi sono stati anche i centri
di ricerca più inseriti nella comunità scientifica internazionale. Tuttavia, va
ricordato come negli anni Settanta e Ottanta il processo di rapida diffusione
delle discipline sociologiche nelle università italiane si era accompagnato con
un buon inserimento anche dei sociologi centro-meridionali nel circuito della
comunità sociologica nazionale. Basti ricordare i casi emblematici dell’Università
della Calabria e di Catania. Poi, con l’avvento dei concorsi locali il circuito
si è spezzato e gran parte delle università centro-meridionali si sono chiuse
su se stesse, con propri corsi di dottorato e il ricorso a carriere interne,
mentre le discipline sociologiche si internazionalizzavano. Chi scrive vi ha
insegnato (e vissuto) per oltre 10 anni e ricorda le difficoltà incontrate, che
però da tempo dovrebbero essersi ridotte, perché internet e la diffusione delle
banche dati dovrebbero aver molto ridotto i costi delle comunicazioni e della
costruzione delle informazioni sui fatti sociali.
Is Italian sociology in the doldrums? Una breve nota sulla produzione scientifica
dei sociologi italiani nella VQR 2004-2010.
1.
Premessa
Venticinque anni or sono in una relazione
presentata a un convegno dell’AIS (poi pubblicata in Stato e mercato, agosto 1988) commentavo un articolo dell’American Journal of Sociology (“Is 1980s
Sociology in the Doldrums?”) in cui Randall Collins si preoccupava della grave
impotenza interpretativa in cui era caduta la più importante comunità di
sociologi, quella americana. Con tutto il dovuto rispetto per le proporzioni,
ho voluto riprendere questo titolo per commentare la situazione in cui
attualmente si trova la sociologia italiana quale è stata messa in luce dalla
VQR 2004-2010. Nella relazione finale, si parla di un risultato “non molto
brillante”. È un evidente eufemismo che si è voluto adottare per non sfigurare
troppo nei confronti di due aree disciplinari contigue, l’economia e la
psicologia, che stanno invadendo con successo i campi tradizionali di studio
della sociologia grazie a lavori pienamente inseriti nella letteratura
internazionale.
In realtà, come si vedrà, la produzione dei sociologi
italiani dal 2004 al 2010 presenta gli stessi limiti rilevati dalla relazione finale
del CIVR per quella dal 2000 al 2003: in particolare provincialismo e assenza
dal dibattito internazionale, come è testimoniato dalle poche pubblicazioni in
lingua inglese e dalle ancor minori pubblicazioni in riviste ISI o Scopus.
Ovviamente esistono significative differenze tra sedi e tra settori
disciplinari. Ed è su queste differenze che si concentrerà questo intervento,
che vuole indicare una via da percorrere per far uscire gran parte della
sociologia italiana dalle attuali secche, prima che sia troppo tardi.
L’autore è stato membro del gruppo di
valutazione dell’area 14, ma qui si esprime a titolo personale e inoltre dichiara
esplicitamente di non utilizzare nell’analisi informazioni riservate, ma solo
dati disponibili a chiunque perché tratti dalle numerose e dettagliate tabelle
allegate al rapporto del GEV 14 e illustrate nella relazione di Brigida Blasi
al convegno AIS.
2. Il
ranking degli atenei: un confronto tra CIVR 2000-2003 e VQR 2004-2010
Il confronto tra i risultati del CIVR 2000-2003 e quelli della VQR 2004-2010 si presenta non poco problematico in particolare per un motivo.
Per il CVR i dipartimenti dovevano segnalare
soltanto un limitato numero di prodotti, scelti ovviamente tra i migliori,
poiché lo scopo era quello di far emergere gli articoli e i libri eccellenti e
di confrontare gli atenei sotto questo punto di vista. Invece, per la VQR i
dipartimento dovevano segnalare (di regola) 3 prodotti per ogni docente e
ricercatore poiché lo scopo era di valutare non le eccellenze, ma la qualità
della produzione scientifica di tutti. Anzi, come si vedrà, il meccanismo dei
punteggi assegnati ai prodotti eccellenti, buoni, accettabili o limitati era
congegnato in modo tale che l’esito complessivo dipendeva essenzialmente dalla
presenza dei prodotti più scadenti. Tra parentesi, va detto come questo netto
rovesciamento delle prospettive (dall’enfasi sulle eccellenze a quella sui
prodotti scadenti) sia stato quasi ignorato nel dibattito che ha accompagnato
questa nuova tappa della valutazione in Italia.
Tuttavia, pur con questo limite, per gli atenei
presenti in entrambi i processi di valutazione con prodotti nell’Area 14 è
stato possibile confrontare i risultati. I punteggi considerati riguardano
l’intera area, cioè sia le scienze politiche sia le scienze sociali, poiché il
CIVR non poteva fare distinzioni per il limitato numero di prodotti presi in
considerazione per ogni ateneo. Per tentare di “normalizzare” le due
graduatore, per ognuna delle due valutazioni si è calcolata la differenza tra
il punteggio di ogni ateneo e il punteggio medio.
L’analisi quantitativa mostra che la variabilità
nelle due graduatorie è quasi identica (scarto quadratico medio pari a
0,025-0,026) e che la correlazione tra le due graduatore è quasi inesistente
(coefficiente pari a 0,33). Tuttavia, un’analisi qualitativa, che distingue gli
atenei per grandi gruppi con riferimento alla media delle due classifiche,
mostra interessanti risultati, come si può vedere dalla tabella 1.
Il primo gruppo comprende 12 atenei che si sono
classificati sopra la media in entrambe le valutazioni. All’interno del gruppo
l’ordine è quello della classifica VQR, mentre i simboli indicano limitati
movimenti, positivi o negativi, da una valutazione all’altra. Al capo opposto
vi è il quarto gruppo di 12 atenei (cui si aggiunge il CNR), che sono risultati
sotto la media in entrambe le valutazioni. In questo caso i due simboli
indicano una netta caduta, soprattutto per il CNR. il secondo gruppo è costituito
dai 7 atenei, che sono passati da sotto a sopra la media. Particolarmente
positivo appare il miglioramento di Pavia e Pisa S. Anna; mentre nel terzo
gruppo sono compresi i 9 atenei che da una valutazione all’altra hanno
peggiorato la propria valutazione.
I movimenti sia positivi che negativi possono
essere dovuti al mutamento dei criteri di valutazione. Ad esempio un ateneo che
nel CIVR aveva raggiunto buoni risultati grazie a pochi prodotti eccellenti,
può aver perso molte posizioni nella VQR quando ha dovuto segnalare anche non
pochi prodotti limitati dei docenti o ricercatori più scadenti. Al contrario,
un ateneo che, avendo poche eccellenze, aveva ottenuto un cattivo risultato nel
CIVR, nella VQR può aver ottenuto un buon risultato se ha anche poche produzioni
scadenti. Tuttavia, la gran maggioranza degli atenei mantiene la propria
posizione, buona o cattiva, in entrambe le valutazioni. Ciò indica che
qualunque sia il criterio di valutazione possiamo dire che vi sono atenei dove
i docenti e i ricercatori dell’area 14 raggiungono buoni o anche ottimi
risultati scientifici e altri in cui prevalgono i prodotti di cattiva o pessima
qualità. Questa stabile collocazione nella fascia alta o in quella bassa della
valutazione non sembra dipendere dalla presenza di grandi concentrazioni di
docenti e i ricercatori dell’area 14: se tra i 12 atenei di alto livello ve ne
sono 7 ove operano oltre 33 docenti e ricercatori, tra gli 11 di basso livello
quelli con oltre 33 docenti e ricercatori sono 5 e uno di questi 5 è l’ateneo
di Roma La Sapienza, ove opera la più grande concentrazione di sociologi e
scienziati politici (oltre 100). Invece, appare rilevante la collocazione
territoriale: dei 12 atenei sempre di alto livello nessuno è meridionale e solo
2 sono a Roma, mentre degli 11 atenei sempre di basso livello soltanto Milano
IULM e Marche sono sopra la linea gotica.
Questa forte divisione territoriale, che è stata
certamente acuita dal sistema dei concorsi locali e dalla facile autorizzazione
di dottorati con collegi ben poco qualificati, dovrebbe suscitare grande
preoccupazione nella comunità dei sociologi e degli scienziati politici
italiani. Vedremo più avanti che, con qualche eccezione, la divisione
territoriale interessa tutti i settori disciplinari della sub-area della
sociologia, su quali si concentrerà d’ora in poi l’analisi dei risultati della
VQR.
3. Nella
VQR i risultati complessivi dipendono non dalla presenza dei prodotti
eccellenti, ma dall’assenza di quelli limitati o penalizzati
Come è noto, il punteggio finale di un ateneo o
di un dipartimento nel complesso o per un singolo settore dipendeva dalla media
ponderata delle valutazione assegnate ai singoli prodotti. Il criterio di
ponderazione previsto era 1 per i prodotti eccellenti, 0,8 per quelli buoni,
0,5 per quelli accettabili, 0 per quelli limitati e – 1 per quelli mancanti. La
scelta di questi pesi ha fatto sì che il punteggio finale dipendesse non dalla
percentuale di prodotti eccellenti, ma da quella dei prodotti limitati o
penalizzati. Ciò risulta evidente dal confronto tra la correlazione dei
punteggi medi di ogni ateneo con la percentuale dei prodotti limitati e
penalizzati (Grafico 1) e quella dei punteggi medi con la percentuale dei
prodotti eccellenti (Grafico 2).
Nel Grafico 1 l’indice R (cioè il punteggio che
indica il livello della qualità dei prodotti di un ateneo) è stato normalizzato
adottando la formula: (R_ateneo / R_medio * 100) – 100. Questa procedura, che
tende a enfatizzare le differenze, sarà adottata anche in seguito per
commentare gli esiti dei diversi SSD. Perciò sull’asse delle ordinate vi sono i
punti percentuali degli scarti dalla media dell’indice R della sub-area scienze
sociali per ogni ateneo, mentre su quello delle ascisse la percentuale dei prodotti
limitati o penalizzati. La correlazione è fortissima. Invece, il Grafico 2
mostra che la correlazione tra gli scarti dell’indice R e la percentuale dei
prodotti eccellenti è scarsa, con una debole tendenza a una forma logaritmica. Andamenti
simili si ritrovano se si considerano separatamente i principali SSD.
Non è chiaro se questa fosse l’intenzione della
VQR, ma il messaggio implicito dei risultati è evidente: per innalzare il
proprio punteggio medio, cioè l’indice R, gli atenei o i dipartimenti devono
puntare non tanto sull’avere tra i propri docenti e ricercatori molti in grado
di scrivere articoli o libri eccellenti, ma piuttosto sull’avere pochi docenti
e ricercatori che riescono soltanto a fornire prodotti scadenti. Insomma un
invito all’aurea mediocritas, che
però per le scienze sociali in parecchi atenei è ancora un miraggio.
4. Le diverse caratteristiche dei prodotti per SSD
Nel rapporto CIVR del 2006 si sottolineavano con
forza due indicatori dell’arretratezza e del provincialismo delle scienze
sociali e politiche italiane: lo scarso numero di pubblicazioni in inglese e la
scarsa presenza di articoli e in particolare di articoli pubblicati in riviste
internazionali. Anche se è molto difficile fare confronti per i diversi criteri
di selezione dei prodotti, nei sei anni successivi non sembra che la situazione
sia molto cambiata: come mostra la tabella 2, i prodotti in lingua inglese
superano appena il 21%, gli articoli di rivista non raggiungono neppure il 28 %
(continuano a prevalere con quasi il 36% le monografie e con oltre il 32% i
contributi in volume) e soprattutto gli articoli in riviste indicizzate da ISI
o Scopus sfiorano solo il 6%.
Tuttavia le differenze tra i settori sono
importanti. Da tutti e tre i punti di vista la sociologia economica (SPS/09)
risulta il settore nettamente più internazionalizzato, mentre la sociologia
urbana (SPS/10) e la sociologia del diritto sono i settori meno
internazionalizzati. Le diverse caratteristiche dei prodotti è molto probabile
abbiano influito sulla diversa valutazione dei settori, soprattutto per la
presenza di referees che lavorano in
università di paesi in cui la sociologia è molto più internazionalizzata. Ecco
alcuni dati in proposito.
Innanzitutto nel rapporto del GEV14 si rileva
che il voto medio degli
articoli indicizzati ISI-Scopus è pari a 0,69 contro una media generale degli
articoli pari a 0,51 e che gli autori di articoli indicizzati sono stati promossi
di più rispetto agli altri (7% contro 5%). Inoltre nella relazione Blasi si
mette in luce sia che l’articolo di rivista è il tipo di prodotto che riceve il
punteggio medio più alto (0,51) e il contributo in volume quello più basso
(0,38), sia che le pubblicazioni in inglese ricevono una valutazione molto più
alta (0,64) di quelli in italiano (0,40). Queste differenze sono in perfetta
linea con gli standard di valutazione esistenti nella comunità internazionale
anche per la sociologia: tra un articolo pubblicato su una rivista peer reviewed (e quindi quasi sempre in
lingua inglese, perché solo pochissime erano quelle italiane che facevano un
serio lavoro di referaggio nel periodo considerato) e un capitoletto in un
libro collettivo pubblicato pagando uno stampatore locale non può che esservi
un abisso di reputazione e di valutazione.
Queste osservazioni dovrebbero spingere anche i
giovani sociologi italiani a tentare sempre più spesso l’ardua via di
sottoporre un articolo alla severa procedura delle riviste internazionali (che
scartano fin oltre il 50% degli articoli pervenuti e comunque li sottopongono a
parecchi mesi di revisione) piuttosto che percorrere quella molto più facile
delle pubblicazioni “domestiche” senza alcun filtro. Fortunatamente qualcosa
sembra stia cambiando verso una produzione più prossima agli standard
internazionali perché la relazione Blasi rileva che dal 2004 al 2010 aumentano
sia la proporzione dei prodotti in inglese (dal 10% al 22%), sia quella degli
articoli di rivista (dall’8% al 21%, per la sociologia economica dal 20% a
oltre il 47%). Si deve sperare che gli esiti della VQR incentivino questa
tendenza e che i più arretrati criteri seguiti dalle commissioni per
l’abilitazione (la richiesta della “monografia” anche stampata sotto-casa) non
contribuiscano a rallentarla.
5. I diversi risultati della valutazione per SSD
Come si vede dal grafico 3, l’indice R (cioè il
punteggio medio) del settore SPS/09 è quasi 14 punti percentuali superiore alla
media dell’intera area della sociologia. Altri due settori sono sopra la media,
la sociologia urbana (più 9 punti percentuali) e la sociologia culturale (più
quasi 5 punti), mentre tre settori sono sotto la media: sociologia del diritto
(meno 2 punti percentuali), sociologia generale (meno 9 punti) e soprattutto
sociologia politica (addirittura meno quasi 19 punti).
Nel grafico non è stato inserito l’indice del
CNR (che riguarda l’intero GEV14, ma data la natura dei prodotti di fatto solo
il sub-GEV scienze sociali), poiché il suo infimo livello avrebbe oscurato le
differenze tra i settori. Infatti, il punteggio dei prodotti dei circa 30
sociologi del CNR è inferiore di oltre 67 punti percentuali alla media dell’area
delle scienze sociali. Pur tenendo conto che ai ricercatori, non avendo carichi
didattici, erano richiesti 6 prodotti invece di 3, l’altissima percentuale di
prodotti mancanti e limitati segnala che la qualità della ricerca dei sociologi
del CNR è di pessimo livello, oltre che totalmente avulsa da collaborazioni con
i migliori dipartimenti di sociologia italiani e internazionali. La forte
caduta dai pur non buoni livelli rilevati dal CIVR indica la presenza di non
pochi ricercatori inattivi o scadenti, che non emergeva quando erano presi in
esame solo i prodotti migliori.
Tuttavia, le differenze
tra gli indici medi dei settori sono il risultato di una variabilità interna ai
settori molto diversa. Poiché non sono disponibili i dati degli atenei in cui
sono stati presentati meno di 10 prodotti, l’analisi della variabilità
all’interno di ogni settore può riguardare soltanto gli atenei con almeno una discreta
consistenza di sociologi di un dato settore. Per questi atenei, il grafico 4
presenta i valori minimi e massimi degli scarti dalla media che si sono
registrati per ogni SSD. Inoltre, pur tenendo conto del limitato numero di
casi, si è calcolato per ogni settore lo scarto quadratico medio.
Si può vedere, pertanto, che al primato di
Sociologia economica si associa un’alta variabilità interna al settore (con uno
s.q.m. pari a 0,07), seconda solo a sociologia del diritto (s.q.m. di poco
inferiore a 0,09), che presenta, insieme a sociologia generale, l’ateneo con
l’indice più basso, ben 80 punti percentuali meno dell’indice R medio.
Sociologia generale e sociologia culturale presentano una variabilità media,
con valori dello s.q.m. intorno a 0,04-0,05, mentre con uno s.q.m. di poco
superiore a 0,01 sociologia politica e sociologia del diritto sono i settori in
cui la variabilità interna è minore. Ma va segnalato che in nessuno dei 3
atenei in cui è presente in misura consistente sociologia politica ha un indice
superiore alla media e che sociologia urbana raggiunge una più che buona
valutazione complessiva solo grazie all’assenza di atenei scadenti, poiché
quelli eccellenti sono altrettanto assenti.
Da questa analisi della variabilità sono però
assenti i sociologi che operano in atenei ove non raggiungono un numero
sufficiente perché la loro valutazione sia resa nota. Un approfondimento
dell’analisi per ogni settore consente di tener conto anche di loro, sia pure
con una valutazione che li considera tutti insieme.
6. I diversi risultati della valutazione all’interno di ogni
SSD
Cominciamo con il settore che ha raggiunto
l’indice R più elevato, SPS/09. Il grafico 5 presenta la distribuzione degli
scarti dalla media dell’indice R per tutti gli atenei ove la sociologia
economica ha conferito almeno 10 prodotti e per l’aggregato di tutti coloro che
operano in atenei ove la sociologia economica è meno presente.
Come mostra il grafico
5, soltanto 13 sono gli atenei in cui la sociologia economica ha una presenza
di una certa consistenza (almeno 4 docenti e ricercatori), mentre oltre un
terzo dei prodotti proviene da docenti e ricercatori che operano in atenei ove
la disciplina è poco presente. Si può notare, tuttavia, che il risultato dei
sociologi economici “dispersi” è, sia pur di poco, superiore alla media delle
scienze sociali. D’altronde la dimensione non sembra legata all’esito della
valutazione, come si può vedere sempre dal grafico 5, che presenta tra
parentesi il numero dei prodotti attesi.
Molto
diversa è la situazione del settore SPS/07, il più diffuso nelle università
italiane. Infatti quasi il 90% dei prodotti proviene dalle 33 università ove la
sociologia generale ha una certa consistenza. Inoltre, l’esito dei “dispersi” è
nettamente inferiore alla media delle scienze sociali (come mostra il grafico
6). Ciò si può comprendere pensando che costoro sono del tutto isolati, in
atenei ove non vi sono neppure sociologi di altri settori, contrariamente a
quanto accade spesso ai “dispersi” degli altri SSD delle scienze sociali.
Infine, indubbiamente colpisce che in ben 20
atenei su 33 il settore della sociologia generale abbia ricevuto una
valutazione inferiore alla media e tra questi atenei vi sia quello con la
maggiore presenza di sociologi generali (Roma La Sapienza) e uno di antiche
tradizioni quale Firenze.
Anche per il settore SPS/08 accanto a atenei con
risultati eccellenti (in particolare Milano Bicocca e un po’ a sorpresa Modena
Reggio), ve ne sono non pochi ove la valutazione media è molto negativa, tra
cui in particolare Urbino, ove operano almeno 10 docenti e ricercatori (vedi il
grafico 7). I prodotti dei dispersi sfiorano il 22% e la loro valutazione si
assesta sul livello medio delle scienze sociali.
Gli ultimi tre settori disciplinari si possono
considerare minori perché il numero di docenti e ricercatori che vi afferiscono
è ridotto, come testimonia il fatto che i prodotti conferiti sono molto meno di
200. Tuttavia, oltre alla ridotta dimensione, presentano un’altra
caratteristica comune: la forte concentrazione in pochissimi atenei. Per
sociologia urbana oltre il 40% dei prodotti sono stati conferiti da soli 4
atenei, ma la concentrazione non sembra deporre a favore della qualità perché
la valutazione media dei prodotti provenienti dai “dispersi” si colloca su un
livello superiore a quello di ben 3 dei 4 atenei ove i sociologi urbani hanno
una certa consistenza ,come mostra il grafico 8). Colpisce in particolare il
pessimo esito dell’ateneo (quello della Calabria), ove i sociologi urbani sono
più presenti.
Ancora
più concentrata è la presenza della sociologia politica nell’università
italiana: quasi il 45% dei prodotti è stato conferito da soli 3 atenei. L’esito
è pessimo per tutti e tre così come per i docenti e ricercatori che operano
isolati in altri atenei, come mostra il grafico 9.
Anche
per la sociologia del diritto oltre il 45% dei prodotti è stato conferito da
pochi atenei, soltanto 6, tuttavia il quadro è più differenziato. Infatti, tre
atenei presentano un livello medio di valutazione superiore alla media e tre
inferiore, come si può vedere dal grafico 10. Inoltre i non pochi “dispersi”
presentano una valutazione media in linea con quella media dell’area delle
scienze sociali. Colpisce comunque il pessimo esito di un ateneo (Napoli
Benincasa) che sembra aver “puntato” molto su questo settore, poiché la
presenza di altri settori sociologici è minima.
7. Le differenze per status accademico ed età dei docenti e
dei ricercatori
Passiamo ora a considerare non le aree o le sedi
dei prodotti conferiti alla VQR, ma l’esito delle valutazioni secondo le
caratteristiche dei loro autori.
Il grafico 11 presenta il solito indice R,
calcolato in termini percentuali rispetto alla media delle scienze sociali,
secondo lo status accademico. Come era possibile attendersi nel complesso della
sociologia l’indice è nettamente superiore alla media per gli ordinari,
esattamente pari alla media per gli associati e altrettanto nettamente
inferiore alla media per gli associati. Tuttavia, tra i settori vi sono
significative differenze. Questa gerarchia si ritrova in quattro settori, sia
pure con diversi andamenti. In particolare, si può segnalare che in SPS/09
tutti gli indici, anche quello dei ricercatori, sono positivi, mentre in SPS/07
anche l’indice degli associati è negativo. Invece, si può notare che in SPS/10
non vi è differenza tra ordinari e associati. E, infine, del tutto anomala
appare la situazione di sociologia del diritto, ove la valutazione dei
ricercatori è nettamente superiore a quella degli ordinari e soprattutto a
quella pessima degli associati.
Meno scontata è la
relazione tra l’esito della valutazione e l’età dei docenti e dei ricercatori.
Infatti, come mostra il grafico 12, sia nel complesso delle scienze sociali,
sia per i settori ove più elevato è il numero dei docenti e dei ricercatori
(SPS/07, SPS/08 a SPS/09) il punteggio medio cresce al diminuire dell’età. Che
siano i più giovani (o meglio i meno anziani, perché si tratta di cinquantenni
o quarantenni) a conseguire le valutazioni migliori fa sperare per il futuro.
Occorre segnalare, in particolare, gli altissimi indici dei cinquantenni e
quarantenni di sociologia economica e dei quarantenni di sociologia urbana e,
per contro, le cattive o pessime valutazioni dei coetanei di sociologia
generale e politica.
La
combinazione delle differenze per status accademico e per età fa pensare che le
valutazioni migliori siano appannaggio degli ordinari più giovani (o meglio
meno anziani) e quelle peggiori degli associati e soprattutto dei ricercatori
più anziani. Questo risultato è pienamente confermato dal grafico 13, che
presenta i punteggi medi tenendo conto contemporaneamente di età e status
accademico. Tra gli ordinari il salto tra i cinquantenni e i sessantenni è
netto, benché anche i più anziani presentano valutazioni molto buone. Ben
diversa, invece, è la situazione tra gli associati e soprattutto tra i
ricercatori. Infatti, sia gli associati sia ancor più i ricercatori
ultra-cinquantenni presentano punteggi molto inferiori alla media e il divario
con i colleghi più giovani è enorme. Per i meno produttivi tra costoro sarebbero
auspicabili norme che consentano un’uscita anticipata (verso la pubblica
amministrazione o l’insegnamento nelle scuole secondarie) al fine di favorire
l’ingresso di energie fresche e quindi il rinnovo delle ricerca universitaria
nelle scienze sociali.
8. Referees italiani ed esteri e valutazione bibliometrica
Poiché i prodotti indicizzati da ISI o Scopus
erano un’infima minoranza, come si è visto, il GEV14 ha dovuto ricorrere
massicciamente al referaggio. Le procedure seguite sono ben descritte dalla
relazione finale, che illustra anche le difficoltà di trovare referees
disponibili a valutare un numero adeguato di prodotti. Quel che la relazione
lascia soltanto intuire è che, tranne benemerite eccezioni, i rifiuti e le
disponibilità limitate sono venuti dai colleghi italiani ed esteri di più
elevato livello scientifico e quindi con maggiori impegni. Perciò, soprattutto
per alcune aree tematiche, si è dovuto “abbassare l’asticella” nella scelta dei
referees sicché, per gli italiani, non si può escludere che abbiano fatto
parecchie valutazioni non pochi docenti i cui prodotti sono stati valutati
soltanto accettabili o limitati. Approfondire questo aspetto presenta aspetti indubbiamente
delicati sotto il profilo della privacy, ma non è escluso che il GEV14 possa
farlo in sede di revisione critica della procedura seguita.
Finora sono emerse tre
informazioni rilevanti. La prima concerne il confronto tra i referees italiani
ed esteri. Come mostra il grafico 14, sembra che i valutatori esteri siano
stati decisamente più generosi degli italiani. Analoghe differenze risultano
per tutti i settori disciplinari. Tuttavia, questa impressione può essere
ingannevole. Quasi tutti i referees esteri sono stati trovati grazie a contatti
personali dei membri del GEV, che si può supporre siano stati propensi,
consapevolmente o no, ad assegnare loro prodotti che ritenevano mediamente
migliori di quelli assegnati ai referees italiani, per evitare di far fare una
troppo cattiva figura alla sociologia italiana di fronte a colleghi di
prestigiose università estere.
Quanto alla relazione tra valutazione con
referees e analisi bibliometrica, la relazione finale presenta due tentativi di
confronto, entrambi su un numero molto limitato di prodotti. Nel primo si
confronta il punteggio attribuito dai referees a un articolo italiano con la
classificazione delle riviste italiane fatta dal GEV. La relazione è buona, ma
statisticamente poco significativa. Ciò non inficia la classificazione operata
dal GEV14, ben più restrittiva e solida di quella fatta dall’Anvur per
l’abilitazione, perché in realtà anche non poche riviste classificate A, cioè
di livello internazionale, hanno iniziato a fare un serio processo di
referaggio solo recentemente e quindi almeno per i primi anni del periodo
considerato (2004-2010) non hanno fatto da rigoroso filtro agli articoli
pubblicati. Se le (poche) migliori riviste italiane di sociologia perfezioneranno
le loro procedure, si può pensare di poter adottare in futuro la scelta del
GEV11 (storia e filosofia) che ha attribuito un solo referee agli articoli
pubblicati nelle riviste eccellenti e quindi più selettive.
Nel secondo tentativo si è confrontato la
classificazione dei referees con quella delle riviste ISI e Scopus in cui gli
articoli sono stati pubblicati. Le differenze sono evidenti: secondo gli indici
delle riviste la percentuale di articoli eccellenti sarebbe maggiore di quella
valutata dai referees, ma sarebbe molto maggiore anche la percentuale degli
articoli limitati. Va notato come il giudizio dei referees esteri collimi di
più con il rating delle riviste. Si può pensare che un sociologo che opera su
scala internazionale sia più consapevole del diverso valore delle riviste e ne
tenga maggior conto nell’esprimere le sue valutazioni. Tuttavia, la procedura
di rating adottata segue pedissequamente quella delle scienze dure e non quella
adattata dal GEV13 per le scienze economiche. Si attende quindi un nuovo
confronto.
In conclusione, pare difficile anche a medio
termine un uso non sperimentale dell’analisi bibliometrica per le scienze
sociali. Tranne adottare, come ha già fatto il GEV11, un “pregiudizio positivo”
per gli articoli pubblicati da riviste eccellenti, sia italiane sia estere,
assegnando loro un solo referee, che sia comunque ben informato sul livello
della rivista. Deve, infatti, essere fatto tutto il possibile per ridurre il
numero dei referees necessari e quindi per poterli selezionare in modo più
rigoroso.
9. Il ruolo delle associazioni scientifiche: l’AIS
Nel processo di valutazione era previsto un
ruolo delle associazioni scientifiche per quanto riguardava la classificazione
delle riviste non indicizzate e quindi di fatto quelle italiane. Come ho
scritto in un contributo scritto per un seminario della stessa AIS, il ruolo
svolto dall’AIS in questa fase è stato ininfluente, se non negativo.
Innanzitutto, va rilevato che il direttivo
dell’AIS non ha affidato l’attività istruttoria a un gruppo di lavoro, in cui
poter includere dei sociologi che si sono misurati con il problema della valutazione
della ricerca sociologica in Italia (Quaderni
di sociologia vi ha dedicato un numero speciale), ma a un solo membro del
direttivo senza alcuna autorevolezza e competenza specifica.
Inoltre, la procedura adottata dall’AIS si è
fondata essenzialmente su un questionario, con cui si chiedeva alle direzioni
delle riviste di fornire non solo informazioni, ma anche cruciali
auto-valutazioni sulla qualità delle loro riviste. In primo luogo, la
pubblicazione del questionario sul sito dell’AIS e la scelta di comprendere nel
perimetro delle riviste sociologiche solo (e tutte!) le riviste che avevano
risposto ha sortito due effetti paradossali. Alcune riviste di buon livello
scientifico e rilevanti per la ricerca sociologica sono state ignorate dall’AIS
e soltanto il lavoro del GEV14 ha consentito di “ripescarle”. Probabilmente un
coinvolgimento delle sezioni dell’AIS, che non risulta esser avvenuto, avrebbe
consentito di evitare questo imbarazzante “buco”. Inoltre, sollecitate
dall’invito via web, hanno compilato il questionario non poche riviste, per lo
più elettroniche, prive di rilievo scientifico e di riferimenti alla sociologia
accademica (riviste di varia umanità o di “sociologia fai da te”, provinciali e
marginali). Tali riviste non soltanto sono state incluse nel perimetro delle
riviste di sociologia, ma alcune sono state persino classificate tra quelle A o
B, con il rischio di compromettere ancor più l’immagine della sociologia come
disciplina scientifica. Per fortuna il GEV14 ha negato loro l’accreditamento.
In secondo luogo, è vero che, per classificare
le riviste, anche altre associazioni hanno utilizzato i risultati di
un’indagine (ad esempio, la Società degli economisti), ma solo molto
marginalmente a scopo informativo. Invece, l’AIS ha giustamente dato un peso
rilevante al rigore nel referaggio, ma si è fondata sulle dichiarazioni dei
direttori o sulle indicazioni presenti nelle note editoriali delle riviste,
senza alcuna possibilità di controllo. Insomma, è stato come chiedere all’oste
quanto buono è il suo vino. Questa procedura di auto-valutazione, mai adottata
e drasticamente sconsigliata dagli esperti di valutazione, ha portato a esiti
paradossali, per cui un’ignota rivista on-line non presente neppure in Google
Scholar è risultata quella che avrebbe adottato il referaggio più rigoroso.
Alcuni indicatori oggettivi per valutare le
riviste italiane di sociologia esistevano, ma, contrariamente a quanto ha poi fatto
il GEV14, l’AIS li ha totalmente ignorati.
1.
E’
vero che nessuna rivista sociologica italiana è indicizzata da ISI e che
pochissime e solo da poco tempo sono indicizzate in Scopus, ma l’esser state
accettate in Scopus può costituire un serio elemento di valutazione.
2.
Non
poche sono invece le riviste indicizzate in Sociologial
abstracts, SocINDEX o Social service
abstracts. Questi archivi non classificano le riviste, ma si limitano a
diffondere gli abstracts degli articoli, assicurando loro una visibilità
internazionale. Anche l’inclusione in questi archivi può costituire un elemento
di valutazione.
3.
Infine,
la presenza in Google Scholar, cui si può accedere in modo relativamente
agevole, dovrebbe essere considerata una soglia minima per prendere in
considerazione una rivista, tranne rarissime eccezioni, da classificare
comunque al livello più basso.
4.
Lo
stesso si dovrebbe dire per presenza del codice ISSN, anche se il bando VQR non
la prevedeva come un requisito. Può costituire un oggettivo indicatore di serietà
e di periodicità dell’iniziativa editoriale.
5.
Per
le riviste cartacee è molto facile rilevare la loro presenza nelle biblioteche
universitarie, poiché si può consultare in rete il Catalogo italiano dei
periodici.
6.
L’autorevolezza
di un comitato scientifico o editoriale di una rivista può esser valutata sulla
base degli indici H di ISI, Scopus e PorP dei suoi membri (che usati non per
casi individuali assumono un’ottima consistenza).
7.
Quanto
al ricorso a Publish or Perisch, il normale indice H normalizzato è molto più
trasparente e controllabile delle oscure elaborazioni fatte dell’AIS. Quanto
all’obiezione che sia influenzato dall’anzianità di una rivista (che peraltro
dovrebbe costituire di per sé un elemento dell’autorevolezza di una rivista),
si può ricorrere a due altri indici, altrettanto trasparenti, che non dipendono
dall’anzianità della rivista: il numero medio di citazioni per anno e il numero
medio di citazioni per articolo.
Poiché, secondo le indicazioni dell’Anvur, il
processo di classificazione è ancora agli inizi per le riviste e
successivamente è destinato a estendersi alle case editrici si spera che l’AIS
in futuro adotti un approccio più serio e diretto a mettere in rilievo le reali
eccellenze della sociologia italiana e non a privilegiare indebitamente alcune
piccole o grandi nicchie, avulse dalla comunità scientifica internazionale.
Ma
l’AIS ha fatto anche di peggio, perché nel corso degli ultimi anni ha fatto ben
poco per far crescere la sociologia italiana secondo gli standard
internazionali, contribuendo a penalizzare i giovani ricercatori che lavorano
in sedi periferiche e hanno scarse possibilità di avere rapporti con la
comunità internazionale della sociologia. Basti citare due episodi emblematici.
Nel
programma elettorale dell’attuale (purtroppo sola!) candidata alla presidenza
dell’AIS si legge: “i criteri di valutazione dei prodotti della ricerca sono
stati definiti ex- post rispetto alla redazione dei lavori, creando ovviamente
spiazzamento tra molti autori che hanno dovuto presentare prodotti redatti
secondo altri criteri di qualità (ad es. credendo in buona fede che un buon
manuale avesse maggiore o uguale dignità di un articolo in inglese)”. Peccato
che l’AIS si sia sempre rifiutata di diffondere le conclusioni del CIVR che già
nel 2006 indicava proprio negli articoli in inglese la forma normale di
comunicazione del lavoro scientifico anche in sociologia e lamentava l’eccesso
di volumi compilativi.
Il secondo eclatante
episodio mi riguarda, ma non posso non ricordarlo con grande tristezza. Nell’assemblea del congresso AIS svoltosi a Milano nel 2010 avevo proposto un
sub-emendamento a una mozione che invitava a favorire le procedure
internazionali di valutazione della produzione scientifica anche per la
sociologia italiana. Si alzò a parlare il vice-presidente uscente dell’AIS, ed
esclamò: “Quando sento parlare di peer review metto mano alla pistola”. Il
guaio fu che non soltanto nessuno rispose a questa affermazione di sapore
gobbelsiano, ma i poveri giovani sociologi la accolsero con tripudio, senza
pensare quanto diseducativa e nociva per il loro futuro fosse. E il mio
sub-emendamento fu respinto a enorme maggioranza, ovviamente. Per carità di
patria, non ho mai osato raccontare questo episodio a nessun collega straniero
o di altra disciplina.
Emilio Reyneri
Nessun commento:
Posta un commento
Il tuo commento verrà visualizzato dopo qualche ora dall'invio. Affinché il tuo post sia pubblicato è necessario inserire in calce il tuo nome e cognome per esteso e la tua afferenza accademica: es: Mario Rossi (Università di Roma). Se dopo 24 ore non vedi il tuo post, o se hai dubbi, scrivi direttamente una mail a perlasociologia@gmail.com