Ho letto con molto interesse I sommersi e i salvati di Matteo Bortolini,
e credo che abbia centrato il punto. Chi scrive è uno dei tanti “sommersi” – ma
uso questo termine con un po’ di pudore, ché ben altro e più atroce destino ha
atteso i sommersi di cui ha parlato Primo Levi. Ma in queste poche righe non ci
sarà spazio per recriminazioni personali o attacchi ai Commissari – il “tiro al
Commissario” sta diventando lo sport più frequentato (e più insopportabile)
della nostra comunità. Si tratta, ha ragione Matteo, di sottrarsi al clima da
ordalia che ha accompagnato prima e seguito poi i lavori delle Commissioni. E
si tratta di ribadire con forza – adesso, quando sembra difficile e finanche
impossibile farlo senza dare l’impressione di mettere con forza le mani in
ferite aperte - che non si torni
indietro lungo la strada impervia e accidentata dei processi di valutazione
dell’università e del nostro lavoro (abilitazione e vqr su tutti. E nonostante
abbia buoni motivi di frustrazione personale per gli esiti del primo processo e
altrettanti buoni motivi di soddisfazione personale per gli esiti del secondo
processo, non sono così sciocco da confondere il funzionamento di un meccanismo
di valutazione con la filosofia che l’ha ispirato).
Pur con tutte le distorsioni e le
parziali incongruenze, non c’è ad essi un’alternativa credibile e non
arbitraria. Intendiamoci: non è che la pratica della valutazione per come fino
ad ora è stata interpretata sia scevra da zone d’ombra, ma questo non è un buon
motivo per abbandonarla.
Se esistesse una comunità scientifica dei sociologi in
senso proprio invece della pluralità di voci particolari che a livello
“sistemico” si coprono l’un l’altra, quando non producono solo un “rumore”
insopportabile, lavorerebbe per la creazione di nuovi luoghi – comuni e
condivisi – aperti al confronto e al dibattito; troverebbe l’occasione per
provare a uscire dalla marginalità – anche accademica – in cui le scelte della
politica e il dibattito pubblico hanno confinato la sociologia; si sforzerebbe
di trovare al proprio interno un terreno di mediazione e di composizione delle
diverse e contrastanti istanze per stabilire regole e meccanismi di promozione
del merito meno opache e meno legate alla discrezionalità (e alle idiosincrasie)
individuale. Io spero che il dibattito – anche aspro – vada in questa direzione,
piuttosto che rimanere impigliato nelle critiche (ancorché legittime e in molti
casi argomentati e argomentabili) ai risultati dei lavori delle Commissioni.
Anche nel caso in cui ci fossero
stati “vizi” di interpretazione dei criteri e dei meccanismi concorsuali per
l’abilitazione, i Commissari si sono trovati a lavorare con “regole del gioco”
e all’interno di condizioni di contesto che non hanno scelto. In questo senso,
non ha senso addossare ai Commissari responsabilità che non hanno, così come sarebbe
oziosa una disquisizione – ancorché dotta ed empiricamente argomentata – sui
punti deboli e le zone d’ombra del processo (di cui invece i Commissari portano
la responsabilità) senza che ci si sforzi di indicare con chiarezza una
prospettiva e una o più strade verso cui muoversi per il futuro.
Detto questo, ha ragione Matteo:
bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di riconoscere il merito e il valore
degli altri. In questo senso, se guardo ai risultati del settore 14C1 – l’unico
che conosco in forza di una quasi ventennale frequentazione – non trovo nemmeno
un caso di abilitazione con cui non sia d’accordo o che non reputi “meritata”.
E questo, per chi conosce la storia concorsuale dell’ultimo decennio, non è un
dettaglio! Certo, si potrebbe discutere all’infinito se altri Candidati non
potessero superare la fatidica la soglia – e io credo di sì, e posso dirlo
visto che appartengo al girone in cui sono stati scaraventati i più infimi fra
di noi. Ma questo è un altro discorso: riconoscere i meriti degli abilitati non
disconosce quelli dei bocciati (me compreso). Lo ripeto: il punto non è per me
fare le pulci al lavoro dei Commissari ma lavorare per rendere l’intero
processo di valutazione migliore (perché ha ragione Matteo: a queste condizioni
chi accetterà mai di continuare o di candidarsi a fare il Commissario?).
Questo per quanto riguarda le
considerazioni per così dire sistemiche. Ci sono poi, come scrive Matteo, le
considerazioni personali. Ciascuno di noi – intendo i “bocciati” – trarrà da
quest’esperienza la lezione che vorrà (o che saprà). Ci sarà chi abbandonerà il
“gioco” delle competizioni promozionali e chi aspetterà la prossima volta. Io,
per parte mia, continuerò a lavorare come ho sempre fatto, adempiendo al
“compito quotidiano”, sforzandomi di non disonorare troppo la dignità del lavoro
che svolgo e difendendo tutti i giorni la mia dignità personale.
Carmelo Lombardo
Sapienza Università di Roma
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