Qualche giorno fa è
uscito su Tiscali (il terzo sito di informazione più letto d’Italia) una
riflessione su come si gestiscono i concorsi in Italia di Massimo Ragnedda,
sociologo italiano attualmente Lecturer in Mass Communications presso
la Northumbria University di Newcastle (UK). Lo ripubblichiamo qui,
sperando che venga letto e preso ad esempio da molti colleghi - inclusi quanti
hanno partecipato a recenti concorsi per ricercatore a tempo indeterminato,
perdendoli per far posto a candidati patentemente meno titolati selezionati sulla base di regole dubbie. (Esemplare il
caso di un concorso bolognese dove il vincitore poteva vantare solo una
manciata di articoli tutti o quasi come secondo autore, articoli privi di
attribuzione delle parti e in campi disciplinari spesso altri rispetto alla Sociologia.
E questo, a quanto dicono i commissari, secondo regole e definizione dei criteri di valutazione accettate dall'Ateneo, anche contro quella che è stata a lungo una regola aurea dei concorsi pubblici in Italia, e cioè la esclusiva valutabilità di pubblicazioni per cui fosse possibile accertare il contributo individuale: regola forse ottusa, ma che esiste e sulla base della quale soprattutto agli inizi della carriera si compiono scelte di scrittura e pubblicazione. Infrangere quella regola significa semplicemente penalizzare quanti hanno ritenuto di dover contare sulle sole proprie forze per pubblicare e farsi un nome, premiando percorsi di ricerca e scrittura così come "prodotti di ricerca" spesso occasionali e eteronomi).
Prendo
spunto da un recente concorso al quale ho partecipato (gli atti del concorso
non sono stati ancora pubblicati e quindi non ne conosco l’esito), per iniziare
a parlare del contestabile processo di reclutamento delle Università italiane.
L’Università di Sassari ha bandito 29 posti da RTD (Ricercatore a Tempo
determinato) ognuno dei quali con uno specifico oggetto di ricerca. L’art. 24,
comma 2 A della Legge 240/2010 prevede che sia possibile inserire nei bandi un
profilo “esclusivamente tramite l’indicazione di uno o più settori
scientifico-disciplinari” (SSD) e non inserendo un progetto di ricerca
specifico (come invece si fa per gli assegni di ricerca).
Dunque i
bandi dovrebbero essere illegittimi. Dico dovrebbero
perché in realtà, in una interrogazione parlamente, il governo ha fatto sapere
che non è proibito l’inserimento di un progetto nel bando. Ma si tratta di una
interpretazione che non fa giurisprudenza: roba da giuristi, insomma. Ma,
per un attimo, sorvoliamo sulla cosa, perché non è di questo che voglio
parlare, ma di come e quanto sia facile, volendo, manipolare un concorso.
Ognuno di questi 29 posti è valutato da una specifica commissione composta da 3
docenti di ruolo dello stesso SSD oggetto di concorso. Ogni commissione ha stabilito dei
propri criteri con i quali valutare i candidati, come se, permettemi
la metafora, per ogni incontro di boxe i commissari scegliessero, di volta in
volta, regole diverse.