Nel dibattito in corso sul Forum Ais dedicato alla classificazione delle riviste di sociologia (http://www.ais-sociologia.it/forum/classificazione-delle-riviste-italiane-di-sociologia/) sono emersi tre argomenti che pongono questioni rilevanti per la professione e richiedono un’attenzione supplementare, anche perché sono stati talvolta sviluppati, a mio giudizio, in modo scorretto o quanto meno fuorviante. Di seguito, richiamerò i tre argomenti facendo seguire a ciascuno di essi un mio commento o una mia replica.
A1) Gli indicatori bibliometrici non misurano la qualità ma la diffusione.
Verissimo, ma questo è un problema che esiste a monte, e vale per tutte le comunità scientifiche di tutti i paesi. Oserei dire che è un problema che vale per ogni tipo di produzione culturale – al punto da non essere neppure un problema. Sulla qualità dei prodotti culturali c’è un continuo e inesauribile confronto e dibattito, che è parte integrante del mondo della cultura e della sua storia. Diceva Adorno più o meno così: “cultura è ciò che si sottrae alla sua misurazione”. Non sbagliava, in fondo. Ciò che gli indici bibliometrici misurano non è infatti “la cultura” ma appunto l’impatto sociale che un certo prodotto culturale ha sulla comunità intellettuale di riferimento. Questo può essere misurato in modo obiettivo. La qualità no. O meglio, la “misurazione” della qualità e ancor più l’accettazione dei suoi responsi è operazione così complessa e delicata che presuppone un accordo di fondo, costitutivo lo chiamerei, su chi possa legittimamente esprimere un giudizio di qualità – sia esso un’associazione professionale, un’agenzia o persino un singolo studioso (o una scuola).