La vicenda delle auto-candidature a membro del Gev (vedi lettera di Colozzi a Santoro, in questo blog) è a suo
modo sconcertante. C’è l’occasione di partecipare nel punto più strategico in
cui lavorare per la difesa della qualità della sociologia italiana, e la
risposta è fiacca, deludente. Sono in pensione da più di tre anni e posso solo, se mai,
sentirmi per la mia parte responsabile della passata gestione della
professione. Posso però dire qualcosa a proposito del futuro, e di questo
passaggio che, lo si voglia o no, lo si approvi o meno nelle sue forme, è
probabilmente decisivo per quanto si metterà in moto, con conseguenze di lungo
periodo, per il bene e per il male.
Lo sconcerto è dovuto ovviamente alla scarsa partecipazione.
Si aggiunge però l’osservazione che questa non si verifica che per due delle tre
componenti. Con tale aggiunta lo sconcerto lascia spazio al sospetto. Non è una
novità che questa componente sia molto organizzata e forte, e che dunque abbia
motivato anche molte domande: questo “spiega” il risultato finale, a parte ogni
altra considerazione. Santoro (vedi qui) ci chiede di provare a dire perché chi potrebbe non
partecipa. Come al solito non c’è un solo perché, ma il fatto che subito possa
scattare un sospetto circa la sovra-rappresentazione di una componente, mostra
lo stato di sfiducia che ci trasciniamo dietro da tempo, con molte ragioni del
resto e scontato che responsabilità sono anche condivise, sulla perfettibilità
della sociologia italiana e della sua organizzazione professionale.
Il sovraccarico di compiti organizzativi in dipartimenti,
corsi di studio e in altri organi, con una normativa fluida e sempre modificata
alla quale stare dietro, il tempo impiegato a cercare fondi di ricerca, la
quantità di didattica in condizioni organizzative precarie, i pesanti pegni
pagati dunque alla crescita scientifica
personale e alla ricerca, sono tutti argomenti veri, un fronte di
problemi che entrano in gioco nel decidere di sobbarcarsi nuovi compiti di
gestione. Non vanno affatto sottovalutati. Ma al fondo, fa comunque da freno
potente l’idea che le cose difficilmente cambieranno e che il gioco non vale la
candela. Peggio: si rischiano grane.
Nella discussione che si apre, si possono indagare in
dettaglio perché del primo e del secondo tipo che ho detto, con proposte e
impegnandosi, per esempio, su modi di distribuire compiti organizzativi, tempi e risorse della ricerca nei
dipartimenti, con giochi di squadra che spesso mancano. Ma molto si gioca sul
secondo fronte, sul quale peraltro ci esercitiamo da tempo.
Voglio però dire, anzitutto che, nelle condizioni date, non
certo le migliori possibili, ho l’impressione che si possa però dare credito a
opportunità di passi avanti nella riorganizzazione della disciplina. Un sintomo
per me molto chiaro al riguardo è la schietta, precisa, aperta, laica lettera
di Colozzi, dalla quale questa discussione parte. Lo riconosce anche Santoro,
che conosciamo quanto sappia essere critico.
Il suo rifiuto
a partecipare è una possibile ragione del perché, una delle diverse
possibili. Apprezzabile, e certamente sentita con onestà. Gli risponderei però
così, restando dal suo punto di vista: partecipare è assumersi un rischio
morale che in queste circostanze deve oggi essere corso.
Non penso comunque che la maggior parte della spiegazione
della scarsa partecipazione, per la maggior parte dei potenziali partecipanti,
stia nel non voler legittimare la procedura. Bisogna allora che questa
discussione si allarghi, me lo auguro. E che faccia parte della domanda sul
perché della non partecipazione, anche, in modo esplicito, la successiva: a
quali condizioni, concretamente attuabili subito, pensi si potrebbe cambiare
idea?
Una osservazione ora sulla questione generazionale, che
spesso abbiamo invocato in discussioni diverse. So che può sembrare un gioco a
scaricabarile, e certo le ragioni vere da non trascurare di cui parlavo prima
pesano soprattutto per i più giovani, ma questa potrebbe essere proprio una
occasione per sostenere e promettere sostegno successivo a rappresentanti
giovani, professori associati dotati di tutti i requisiti necessari per essere
riconosciuti nella selezione. Potrebbe essere un tassello strategico del
ricambio generazionale.
Infine un punto sottolineato da Santoro, che riformulerei
così: l’assoluta trasparenza su partecipanti e scelti è condizione indispensabile
per il recupero della fiducia istituzionale; sarebbe una altra conferma, oltre
alla lettera di Colozzi, che effettivamente ci sono sintomi per possibilità di
utili partecipazioni al Gev. Sappiamo che in condizioni confuse e difficili si
è scoraggiati a fare la prima mossa. In un certo senso, quella di Colozzi è una
prima mossa importante, che Santoro ha fatto bene a rilanciare in una
discussione.
Nessun commento:
Posta un commento
Il tuo commento verrà visualizzato dopo qualche ora dall'invio. Affinché il tuo post sia pubblicato è necessario inserire in calce il tuo nome e cognome per esteso e la tua afferenza accademica: es: Mario Rossi (Università di Roma). Se dopo 24 ore non vedi il tuo post, o se hai dubbi, scrivi direttamente una mail a perlasociologia@gmail.com