sabato 16 giugno 2012

Sulla riluttanza dei sociologi e i suoi perché: il punto di vista di Arnaldo Bagnasco


La vicenda delle auto-candidature a membro del Gev (vedi lettera di Colozzi a Santoro, in questo blog)  è a suo modo sconcertante. C’è l’occasione di partecipare nel punto più strategico in cui lavorare per la difesa della qualità della sociologia italiana, e la risposta è fiacca, deludente. Sono in pensione da più di tre anni e posso solo, se mai, sentirmi per la mia parte responsabile della passata gestione della professione. Posso però dire qualcosa a proposito del futuro, e di questo passaggio che, lo si voglia o no, lo si approvi o meno nelle sue forme, è probabilmente decisivo per quanto si metterà in moto, con conseguenze di lungo periodo, per il bene e per il male.

Lo sconcerto è dovuto ovviamente alla scarsa partecipazione. Si aggiunge però l’osservazione che questa non si verifica che per due delle tre componenti. Con tale aggiunta lo sconcerto lascia spazio al sospetto. Non è una novità che questa componente sia molto organizzata e forte, e che dunque abbia motivato anche molte domande: questo “spiega” il risultato finale, a parte ogni altra considerazione. Santoro (vedi qui) ci chiede di provare a dire perché chi potrebbe non partecipa. Come al solito non c’è un solo perché, ma il fatto che subito possa scattare un sospetto circa la sovra-rappresentazione di una componente, mostra lo stato di sfiducia che ci trasciniamo dietro da tempo, con molte ragioni del resto e scontato che responsabilità sono anche condivise, sulla perfettibilità della sociologia italiana e della sua organizzazione professionale.

Il sovraccarico di compiti organizzativi in dipartimenti, corsi di studio e in altri organi, con una normativa fluida e sempre modificata alla quale stare dietro, il tempo impiegato a cercare fondi di ricerca, la quantità di didattica in condizioni organizzative precarie, i pesanti pegni pagati dunque alla crescita scientifica  personale e alla ricerca, sono tutti argomenti veri, un fronte di problemi che entrano in gioco nel decidere di sobbarcarsi nuovi compiti di gestione. Non vanno affatto sottovalutati. Ma al fondo, fa comunque da freno potente l’idea che le cose difficilmente cambieranno e che il gioco non vale la candela. Peggio: si rischiano grane.

Nella discussione che si apre, si possono indagare in dettaglio perché del primo e del secondo tipo che ho detto, con proposte e impegnandosi, per esempio, su modi di distribuire compiti organizzativi,  tempi e risorse della ricerca nei dipartimenti, con giochi di squadra che spesso mancano. Ma molto si gioca sul secondo fronte, sul quale peraltro ci esercitiamo da tempo.

Voglio però dire, anzitutto che, nelle condizioni date, non certo le migliori possibili, ho l’impressione che si possa però dare credito a opportunità di passi avanti nella riorganizzazione della disciplina. Un sintomo per me molto chiaro al riguardo è la schietta, precisa, aperta, laica lettera di Colozzi, dalla quale questa discussione parte. Lo riconosce anche Santoro, che conosciamo quanto sappia essere critico.
Il suo rifiuto  a partecipare è una possibile ragione del perché, una delle diverse possibili. Apprezzabile, e certamente sentita con onestà. Gli risponderei però così, restando dal suo punto di vista: partecipare è assumersi un rischio morale che in queste circostanze deve oggi essere corso.

Non penso comunque che la maggior parte della spiegazione della scarsa partecipazione, per la maggior parte dei potenziali partecipanti, stia nel non voler legittimare la procedura. Bisogna allora che questa discussione si allarghi, me lo auguro. E che faccia parte della domanda sul perché della non partecipazione, anche, in modo esplicito, la successiva: a quali condizioni, concretamente attuabili subito, pensi si potrebbe cambiare idea?

Una osservazione ora sulla questione generazionale, che spesso abbiamo invocato in discussioni diverse. So che può sembrare un gioco a scaricabarile, e certo le ragioni vere da non trascurare di cui parlavo prima pesano soprattutto per i più giovani, ma questa potrebbe essere proprio una occasione per sostenere e promettere sostegno successivo a rappresentanti giovani, professori associati dotati di tutti i requisiti necessari per essere riconosciuti nella selezione. Potrebbe essere un tassello strategico del ricambio generazionale.

Infine un punto sottolineato da Santoro, che riformulerei così: l’assoluta trasparenza su partecipanti e scelti è condizione indispensabile per il recupero della fiducia istituzionale; sarebbe una altra conferma, oltre alla lettera di Colozzi, che effettivamente ci sono sintomi per possibilità di utili partecipazioni al Gev. Sappiamo che in condizioni confuse e difficili si è scoraggiati a fare la prima mossa. In un certo senso, quella di Colozzi è una prima mossa importante, che Santoro ha fatto bene a rilanciare in una discussione.


 Arnaldo Bagnasco

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