Ho
letto con grande interesse l’ultimo post pubblicato da Marco Santoro, poiché esprime
con efficacia dubbi che anche io ho avuto di fronte alla richiesta rivoltami dal
Presidente del Gev 14 di far parte del gruppo di revisori che valuteranno i
prodotti della ricerca nell’ambito del VQR 2004-2010. Ho sciolto quei dubbi in
maniera opposta a quanto ha fatto Marco, e vorrei (brevemente) spiegarne i
motivi.
Ritengo più che condivisibili le osservazioni critiche sulla (poco equilibrata) composizione del Gev 14. Come è stato spiegato, riflettono una logica di appartenenza - di componente – che davvero non ha più ragione di esistere e nei confronti della quale dobbiamo dire semplicemente basta, basta, basta! Per non riprodurre questa logica, però, non è sufficiente “denunciarla”. Dobbiamo iniziare a muoverci a prescindere dalle componenti. Naturalmente senza ingenuità, ma non facendoci bloccare da esse, anche attuando gesti di “apertura unilaterale”, che mostrino nei fatti un diverso modo di ragionare e soprattutto di operare.
Ritengo più che condivisibili le osservazioni critiche sulla (poco equilibrata) composizione del Gev 14. Come è stato spiegato, riflettono una logica di appartenenza - di componente – che davvero non ha più ragione di esistere e nei confronti della quale dobbiamo dire semplicemente basta, basta, basta! Per non riprodurre questa logica, però, non è sufficiente “denunciarla”. Dobbiamo iniziare a muoverci a prescindere dalle componenti. Naturalmente senza ingenuità, ma non facendoci bloccare da esse, anche attuando gesti di “apertura unilaterale”, che mostrino nei fatti un diverso modo di ragionare e soprattutto di operare.
Vengo perciò al VQR. Ci credo. Ci spero. Penso sia un segnale significativo di una “correzione di rotta” che la comunità accademica italiana sta – faticosamente - avviando. Si tratta di un processo imperfetto, in fase di sperimentazione, in cui sicuramente verranno commessi errori. Ma lo considero un processo importante, di “apprendimento collettivo”, in cui possiamo/dobbiamo gettare le fondamenta di una cultura della valutazione basata sul merito e sulla fairness. In breve, di un ethos scientifico e professionale diverso dal passato.
Per
questo non accetto che l’inerzia, la chiusura cognitiva e gli errori commessi da
altri blocchino sul nascere questo tentativo.
Per questo
ho sentito come un “dovere professionale” rispondere positivamente alla
richiesta che mi è stata rivolta; lo considero un piccolo contributo personale alla
produzione di un “bene collettivo” di cui la nostra comunità accademica ha straordinariamente
bisogno.
Così
facendo non credo di legittimare vecchie logiche di componente. Ritengo sia
vero il contrario. Aderire dichiarando che nella valutazione seguirò – per
quanto sono in grado di fare – criteri esclusivamente legati al merito e alla
qualità dei “prodotti della ricerca” è il modo che ritengo migliore per
“scalzare” concretamente queste logiche paralizzanti. Sono sicuro che molti di
coloro che hanno aderito, lo hanno fatto con lo stesso “spirito”. O almeno me
lo auguro.
Una
cosa che però ritengo essenziale è associarmi all’appello lanciato da Santoro:
i nominativi dei revisori andranno resi pubblici al termine della
valutazione. Questo non implica assolutamente violare l’anonimato del
processo di revisione. Le migliori riviste che applicano procedure anonime di
referaggio pubblicano – a scadenze regolari – i nominativi di coloro che vi partecipano
in veste di revisori (ovviamente non indicando gli articoli su cui hanno
espresso il loro parere). Mi auguro che il Gev 14 segua questa prassi e che il
suo presidente dichiari sin d’ora l’intenzione di farlo.
Per
questa ragione, mi sento di non poter accogliere l’invito che è stato rivolto a
“non comunicare all’esterno” il proprio impegno nella VQR. Di questo mi scuso,
ma ritengo che questa comunicazione non violi in alcun modo lo spirito di
“imparzialità e rigore” richiesto per la valutazione.
Francesco
Ramella
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