mercoledì 23 maggio 2012

A proposito di GEV, componenti, riviste …e un po’ anche di sociologia (ma giusto un po’)

Al di là dei toni (coloriti, e a tratti persino divertenti), il confronto delle ultime settimane è stato salutare. Alcuni nodi sono venuti al pettine. Ed è bene che se ne parli finalmente, e apertamente. Mi focalizzo su due di essi. 

Il primo nodo è quello della composizione del GEV14, o meglio del Sub-GEV per l’area sociologica. Ora, non sfugge a nessuno che poco poco sia addentro alla storia e alle vicende della disciplina nel nostro paese, che il GEV14 è fortemente sbilanciato nella sua parte sociologica a favore di una specifica “componente”. Si chiamano così, per chi ancora non lo sapesse, quei gruppi di potere accademico – o meglio, quelle macchine politico-accademiche-concorsuali – che hanno reso negli ultimi 30 anni la nostra disciplina un mero campo di battaglia o meglio un’ambita terra di conquista per più o meno intraprendenti e abili imprenditori accademici (con molto capitale sociale e poco capitale simbolico, direbbe Bourdieu), rendendo praticamente impossibile coltivare potenzialmente proficui scambi intellettuali tra studiosi, e soprattutto riducendo enormemente il peso del criterio del merito nella selezione del personale (cioè degli studiosi).  Da quando si sono formate, più o meno nei primissimi anni ottanta in coincidenza con la fondazione dell’AIS, le “componenti” sono tre – e questo numero non è privo di conseguenze per il funzionamento del sistema complessivo. Il meccanismo elementare della componente-macchina politico-accademico è questo: non importa quanto vali come studioso e quanto hai fatto e cosa e dove hai pubblicato, il semplice fatto che tu sia un membro fedele e leale della componente ti rende meritevole di posto e/o avanzamento di carriera. A scapito dei potenzialmente più meritevoli che pure competono per quel posto e/o avanzamento di carriera, ma hanno il difetto mortale di essere…ingranaggi di un'altra macchina. Tutto (o quasi tutto, concediamoci qualche spiraglio) nella nostra carriera accademica dipende dalla composizione per componenti delle commissioni concorsuali: dimmi chi c’è in commissione, e ti dico che chances hai di essere tra gli “eletti”. Non c’è nessuno della tua componente in commissione?  Inutile presentarsi, solo spreco di tempo e denari (e copie di pubblicazioni). Ci sono sedi accademiche in cui è quasi impossibile che ci possano essere membri della componente X, tale e tanto è il controllo su quella sede della componente Y, “nemica” o quanto meno “non alleata” (la triade consente come noto la possibilità di un’alleanza contro il terzo). Come da manuale Cencelli, la sociologia si è edificata in Italia su questa spartizione (più o meno perfetta) a tre di posti, case editrici, dipartimenti, sedi universitarie, riviste, membri di commissioni concorsuali, presidenti AIS ecc.

Ora, non sfugge a nessuno che un po’ conosca il campo che il GEV14 (o meglio il subGEV dell’area sociologica) è così composto:

componente cattolica: Presidente + 3 membri = 4 membri.
componente MiTo: 1 membro.
componente Ais3: 1 membro.

Manca all’appello un membro (straniero, anche se di nome italiano) che per definizione (essendo professionalmente fuori dal sistema italiano) non appartiene a nessuna componente. Almeno, così sembra. Sappiamo però che è nel comitato scientifico della rivista “Sociologia e politiche sociali,” rivista che notoriamente fa riferimento – nella canonica spartizione della sociologia nostrana – alla componente cattolica. E quindi qualche sospetto di affiliazione o almeno vicinanza ci potrebbe legittimamente anche essere.

Come si spiegano sociologicamente tutti questi “sociologi cattolici” tra i sociologi dell'ANVUR? E’ vero che la componente cattolica si è molto rafforzata negli ultimi anni, grazie anche alla sua imponente ed efficiente organizzazione (= l’associazione culturale SPe, Sociologia per la persona). Ma non al punto da spiegare questa sovra rappresentazione. Per questa, dobbiamo guardare un po’ più in alto, dalle parti della presidenza ANVUR, o meglio della vice-presidenza. Della componente cattolica è infatti notoriamente anche la prof. Luisa Ribolzi, scelta direttamente dall’ex ministro Gelmini come vice-presidente dell’ANVUR (non certo per le 21 edizioni del “Manuale di Nonna Papera” da lei firmato, che pure non è titolo da poco in un cv di sociologo italiano), e non stupisce che la scelta della prof. Ribolzi al momento di decidere il nome del Presidente del GEV per le scienze sociali sia caduta proprio su un esponente autorevole della sua componente, che ha molti meriti ma certo non quello di avere un profilo diciamo internazionale (mentre l’ANVUR si dice molto attenta a questo aspetto). Il mondo cattolico comunque è molto ampio e variegato al suo interno, e non si può fare di tutta l’erba un fascio. Forse non è inopportuno sapere che – almeno, queste sono le voci, che possono anche essere smentite si intende dai diretti interessati – sia la Vice-presidente ANVUR che il Presidente del GEV14 che uno, anzi una, dei membri del GEV14, sono non solo di componente cattolica (classificazione di rilievo dentro il mondo della sociologia, ben poco oltre i suoi confini) ma anche di Comunione e Liberazione – organizzazione ben più nota e influente di SPe. Senza con questo voler alludere a nulla di preoccupante (anche se navigando su internet qualche ragione per preoccuparsi la si potrebbe anche trovare, specie se si fa ricerca utilizzando i cognomi interi), un po’ fa specie in effetti che almeno 3 su 8 sociologi che siedono dalle parti dell’ANVUR siano di CL, no?

Che le riviste di area cattolica siano sovrarappresentate in seno al GEV è una logica conseguenza di questa sovrarappresentazione della sociologia cattolica, che eleva notevolmente le probabilità che alcuni membri del GEV siano nel comitato di “Studi di Sociologia” o di “Sociologia e politiche sociali”, riviste di riferimento di quella componente.  Che una rivista come “Sociologia urbana e rurale” sia in A non credo possa però spiegarsi solo con la presenza di un suo rappresentante (di area cattolica) in sede GEV, anche se questo qualcosa avrà contato. Mi pare che una spiegazione più convincente sia che SUR è rivista di riferimento dei sociologi urbani e rurali, e che al di là della sua effettiva qualità, sia questa sua funzione di riferimento ad essere stata premiata. Lo stesso mi pare di poter dire per “Sociologia del diritto” (settore disciplinare che fa notoriamente a sé).

Per par condicio, si dovrebbe dire qualcosa sui membri delle altre due componenti. Ci provo, altri se credono diranno la loro. Uno è un noto sociologo economico (del lavoro, delle migrazioni – specializzazione che ripete invero quella del membro straniero, e non si capisce bene per quale ragione esista questa ridondanza, quando intere aree specialistiche come la sociologia urbana, la sociologia del diritto, la sociologia politica, la metodologia, non hanno rappresentanza in sede GEV). Da conti fatti qualche mese fa, il suo indice-h è il più alto tra quelli dei membri del GEV (area sociologica). Non ho molto altro da dire, se non – ma lo sappiamo, Giglioli ce lo ha già fatto notare – che siede nel comitato scientifico e/o editoriale di due riviste finite in A (due riviste peraltro che non mi stupisco affatto siano finite in A, conoscendone la qualità intellettuale).  Considerato lo stato di sfascio del MiTo – la cui organizzazione non è mai stata particolarmente solida, anzi diciamo che non è mai stata una vera organizzazione, ma una federazione di micro poteri locali, alcuni peraltro con solide reputazioni anche internazionali – è già tanto che ci sia un sociologo che proviene storicamente da quell’area. Quanto la sua azione possa essere vincolata alla fedeltà o lealtà alla “sua” componente è difficile (per me) dire, ma considerato che quest’ultima è come detto allo sfascio e che, storicamente, non è mai stata particolarmente disciplinata e ordinata, mi viene da pensare che quel vincolo sia piuttosto lasco. Il che non toglie che ci possano essere anche in questo caso all’opera lealtà di altro genere – ad es. rispetto a una certa visione della disciplina fondata sull’innalzamento, un po’ troppo dogmatico agli occhi di molti, di certi specifici approcci e metodi (e alcune case editrici) a standard di scientificità non negoziabili. Questa contingenza può avere a che fare con il declassamento di alcune riviste proprio di area MiTo specializzate però su temi e metodi (studi culturali, teoria sociale, etnografia) che non rientrano perfettamente in quel canone. Come dirò, non sono certo sia questa però la spiegazione più plausibile, anche se non escludo che anche questo abbia pesato.

L’altro membro non cattolico, e non MiTo, quindi per logica conseguenza di Terza componente (Ais3), è una nota studiosa di comunicazioni, moglie o compagna di un altrettanto noto sociologo dei media e della cultura, a suo tempo candidato alla presidenza AIS (candidato per varie ragioni scomodo, diciamo, infatti non eletto). Non entro nel merito, non è questo il luogo. Ci tengo solo a dire due cose: la prima è che, come la componente cattolica, la c.d. Terza componente è fortemente organizzata (da qualche mese anche formalmente), e difficilmente quello che fa un membro della componente è in totale autonomia dai calcoli o dalle scelte o dai desideri dei “portavoce” della componente (così si chiamano i leader organizzativi e politici delle componenti, a quanto pare).  La seconda cosa è la seguente: sarà anche vero, come ci viene detto, che la prof. Milly Buonanno – è di lei che si parla – non siede nel comitato editoriale o scientifico di nessuna rivista collocata in serie A (non so bene se questo sia un punto a favore, un elemento di distinzione, o il suo contrario), ma è invece assodato che siede nel comitato scientifico di una rivista che è stata nell’occhio del ciclone tra dicembre e gennaio, la famigerata “Comunicazionepuntodoc”, che molti sociologi italiani hanno avuto il piacere di conoscere trovandosela classificata in serie A nel primo ranking AIS, poi hanno visto uscire non solo dalla serie A ma dalla classifica intera nel secondo ranking AIS (anche a seguito della campagna di protesta lanciata da questo Blog nei confronti dell’inclusione non solo in A ma in una classifica di riviste scientifiche di quella che a tutti gli effetti appare come una rivista di formazione, con finalità professionali-pratiche, priva di contenuti e persino di velleità scientifiche), per ritrovarsela però alla fine nel ranking del GEV, seppure un po’ in basso. Come e perché il GEV abbia deciso di reintegrare nella sua classifica una rivista che l’AIS stessa – notoriamente in balìa delle logiche di componente – aveva già accettato di mettere in quarantena, solo Dio lo sa. Dio e qualcun altro.

Il secondo nodo che è emerso nel dibattito delle ultime settimane è quello della trasparenza. Ora qui la situazione è più complessa, perché in effetti non è chiaro quando la trasparenza sia davvero tale. Occorre perché ci sia trasparenza che siano pubblicamente consultabili tutti gli atti ufficiali di un dato organo di rilievo pubblico – come il GEV dovrebbe essere? O basta che siano esplicitati quali siano i criteri che un certo comitato ha scelto di adottare nella sua azione? Mi pare che la strada seguita dall’ANVUR (nel suo complesso) sia le seconda. Si può non essere persuasi da quei criteri, o non soddisfatti della descrizione offerta di quei criteri. Ma i criteri ci sono. Questi criteri non dicono automaticamente quali siano i risultati del loro utilizzo nel processo di valutazione e in quello decisionale, perché un margine di autonomia (di agency direbbero i sociologi) è sempre ammesso. E per fortuna, direbbero in tanti. Certo non è immediatamente chiaro come da quei criteri possa discendere quella classificazione. Chi scrive tempo fa si è fatto promotore, con altri colleghi direttori di riviste, di una proposta di ranking che avrà avuto molti difetti, ma almeno aveva il grande merito di essere molto trasparente, nel suo automatismo. La proposta non è stata adottata, né dall’AIS né dal GEV, se non in minima parte. Curiosamente, molti di coloro che si lamentano adesso per la mancanza di trasparenza erano tra coloro che più hanno ostacolato la proposta.  Trasparenza per trasparenza, qualcosa di opaco qui lo si intravede. Ma non è questo il punto. Il punto è che se leggiamo quei criteri senza eccessivi preconcetti, una logica la troviamo, e possiamo persino dare un senso al ranking deciso dal GEV.

Scrivo contro il mio interesse, o almeno, contro parte del mio interesse. Capita infatti che una delle riviste declassate dal GEV sia una rivista a me molto cara, che ho contribuito a ideare e a fondare, e per molto tempo a gestire. E di cui sono ancora oggi direttore responsabile. La rivista è “Studi Culturali”. Come i colleghi di ERQ, di QTS, o di MM, non mi sarebbe spiaciuto trovare SC in A. Ma non mi sono stupito più di tanto nel trovarla in B, perché quella rivista (come le tre menzionate) è di certo meno centrale rispetto al "core" della disciplina sociologica, di altre riviste che, pur (a mio avviso) meno belle e meno innovative, coprono però settori importanti della disciplina- come la sociologia del diritto, o quella del territorio. Forse QTS è più centrale -- dopo tutto la teoria sociale è al cuore della disciplina per come molti la intendono – ma non può non contare nel suo caso la sede editoriale (molto locale e poco prestigiosa) e la periodicità diciamo zoppicante.

Detto questo, concordo con i critici che il lavoro di valutazione e classificazione del GEV poteva essere fatto meglio, e il suo esito argomentato meglio, e con maggiori attenzioni rispetto alle legittime aspettative di conoscenza e informazione di una parte almeno della professione. I colleghi del GEV non l’hanno fatto, mostrando un po’ la faccia arrogante del potere. Un’arroganza tanto più fastidiosa considerato il deficit di legittimazione derivante da una procedura di nomina molto “politicizzata”, e dal già segnalato squilibrio interno alla composizione del GEV (mentre non mi pare che il non eccelso indice h medio dei membri contribuisca più di tanto al deficit di legittimità….la nostra disciplina è quello che è, e le poche stelle non è detto che fossero disponibili ad entrare nel meccanismo della valutazione, anzi). Ma bisogna anche onestamente riconoscere che:

1) il tempo a disposizione per stilare questa nuova classifica era oggettivamente scarso (e questo non è colpa del GEV);
2) nel suo lavoro il GEV non è stato aiutato dall’AIS che ha prodotto e consegnato alla pubblica opinione, e all’ANVUR, un ranking delle riviste fortemente sbilanciato a favore della classe A: oltre 20 riviste in fascia alta, su una quarantina in totale. Come dire: noi più di così non possiamo fare, noi dobbiamo rendere conto ai nostri elettori, cioè alle nostre macchine politico-accademico-concorsuali (macchine elettorali in sede Ais) che da sempre si annidano nei nostri ingranaggi, nella nostra vita, nel nostro pensiero, nella nostra stessa capacità di operare per il bene della professione.

Alla fine, il nodo è sempre lo stesso, mi pare. Sono le “componenti” il nostro cancro. Le componenti che non sono semplici “cordate” accademiche, come Dal Lago ha un po’ candidamente scritto in un suo recente post sul sito dell’AIS, e che non si trovano nella sociologia come in tutte le discipline, come Giglioli ha pubblicamente detto a Roma, ad una tavola rotonda organizzata dall’AIS in marzo proprio sui nodi del reclutamento, ma sono dei “mostri”, macchine da guerra accademica organizzate e persino formalizzate (in due casi su tre), che solo la nostra disciplina ha saputo ideare e mantenere in vita, e persino osannare come strumenti di….democrazia.  Perché esistono le componenti, perché sopravvivono, che funzioni manifeste e latenti svolgono, che danni provochino, è materia di riflessione sociologica, per cui rimando ad altri testi presenti in questo Blog.

Poteva una disciplina spezzata, divisa, frammentata in (almeno) tre parti, due delle quali formalmente organizzate come poteri frazionali, corporazioni partigiane, attente a tutto tranne che alla qualità del lavoro intellettuale, piegate alla logica strumentale della politica di conquista invece che a quella tendenzialmente universalista e disinteressata della ricerca e del confronto intellettuale, segnate da affiliazioni ideologiche e impegni normativi il cui senso disciplinare risulta quanto meno problematico, fare di meglio di quello che ha fatto in questi mesi – dentro la sua associazione, dentro il GEV? A voi la risposta.


Marco Santoro

Professore associato SPS/07, Università di Bologna
Membro della direzione (e direttore responsabile) di “Sociologica” (il Mulino)
Membro del comitato editoriale (e direttore responsabile) di “Studi Culturali” (Il Mulino)
Membro del comitato editoriale di “Polis” (il Mulino)
Membro dell’editorial board di “Poetics” (Elsevier), “Cultural Sociology” (Sage), “American Journal of Cultural Sociology” (Palgrave, forthcoming).
Un po’ per scelta un po’ per caso finito in “area” MiTo (ma con una laurea e un passato di ricercatore in Università Cattolica, in altro settore disciplinare).
Membro del comitato di esperti d’area dell’Istituto Cattaneo.
Tra i promotori, e gli animatori, del blog “Per la sociologia”.
Sposato con Roberta Sassatelli, professore associato SPS/08, Università di Milano.
Ecc. ecc.






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